Una conferenza. 1

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Elementi fondamentali della critica letteraria

Conferenza del prof. Franco Brioschi

dell’Università Statale di Milano

Liceo Classico Giuseppe Parini

Trascrizione dell’allieva Elisa Costanzo – 1aD

Editing del prof. Fabbroni – Sez.D

Presentazione

della prof.ssa De Palma

Abbiamo il piacere di avere qui con noi il Professor Franco Brioschi che insegna Storia della Critica

all’Università degli Studi di Milano e che abbiamo invitato nella speranza che quello che ci dirà possa

farci riflettere riguardo all’attività della critica letteraria.

Franco Brioschi è uno studioso di teoria della letteratura e quindi credo che sentiremo delle cose molto

nuove perché noi siamo abituati a studiare gli autori, a leggere anche gli studi critici, ma di solito non

rientra nella nostra attività normale quella di riflettere anche sull’attività critica di per sé, sui problemi

teorici che stanno dietro alla letteratura. Proprio chi ha alle spalle diversi e importanti studi riguardo a

questi problemi [potrà darcene conto, in questa sede, almeno sinteticamente].

Prof. Franco Brioschi

Io innanzitutto ringrazio il Liceo Parini per questo invito. Io ho studiato al Berchet, quindi in un

liceo, per così dire, rivale del Parini, ma il Parini è sempre quella scuola esemplare che anche quando

ero studente ricordavo, quindi per me è un onore parlarvi e ringrazio sentitamente la scuola che mi ha

invitato.

Io ho esordito come critico letterario studiando Leopardi e poi altri autori della modernità letteraria. Nel

corso dei miei studi sono poi prevalsi alcuni interessi di carattere teorico anche se non ho mai

abbandonato del tutto l’attività, per così dire, più militante della critica. Però se dovessi dire che cosa è

la critica letteraria, avrei qualche difficoltà, anche se insegno appunto proprio questa materia: la

“riflessione metacritica”.

Bisognerà partire da alcune osservazioni di carattere “storico”.

Io non credo che lo studio della storia risolva tutti i problemi teorici; ma avere qualche parametro

sicuramente è utile.

Anzitutto la critica letteraria come riflessione sulla letteratura nasce insieme alla letteratura. Sì,

è vero che nei poemi epici si invita la Musa a ispirare le parole del cantore; ma lo stesso Omero nel

primo canto dell’Odissea mette in scena, per così dire, un doppio di sé stesso, e cioè l’aèdo Femio che

alla mensa del palazzo di Ulisse intraprende a cantare appunto il ritorno degli eroi greci da Troia. È

quella che i critici francesi chiamano una “mise en abime”, cioè il fatto che nell’opera letteraria si metta

una specie di inserto che rappresenta l’opera stessa: Omero sta cantando il ritorno di Ulisse da Troia e

Femio canta il ritorno degli eroi greci da Troia; una specie di doppio di Omero inserito dentro il testo.

L’episodio è interessante perché in realtà Omero, attraverso un modulo narrativo, introduce una

riflessione su che cosa è la letteratura.

Femio inizia il suo canto mentre “Telemaco si è allontanato dalla cena per avere un colloquio con

Atena travestita”. Telemaco viene chiamato a parlare con Atena mentre i Proci stanno gozzovigliando

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alla mensa. Finito il colloquio con Atena, rientra, e la situazione è del tutto mutata: c’è l’aèdo che canta

e i Proci in silenzio –“ οι δε σιωπει (òi dè siopèi = quelli in silenzio)”- che ascoltano. Mentre, prima,

tutti i segnali che Omero dava del comportamento dei Proci erano legati al concetto di rumore –“quelli

rumoreggiavano”-, adesso sono “ οι δε σιωπει – quelli in silenzio”.

Penelope dall’alto dei suoi appartamenti sente questo canto di Femio e rimane turbata, perché lei sta

aspettando Ulisse che ritarda, ritarda, ritarda, non arriva mai, e si sente coinvolta in questa storia.

Scende e interrompe questa cerimonia, questo momento rituale: non quello in cui c’è un unico

definitore della parola, l’aèdo, e tutti gli altri ascoltano in silenzio come spettatori.

Rompe questa cornice cerimoniale, questo rito, rivolgendosi direttamente a Femio e dicendogli: canta qualcosa

d’altro, non cantare proprio questa storia che mi spezza il cuore (“Phêmie, polla gar alla brotôn thelktêria

oidas … tautês d’ apopaue’ aoidês lugrês, hê te moi aiei eni stêthessi philon kêr teirei”: Femio, tu molte

altre cose conosci per dilettare i mortali… basta con questo triste canto che mi trafigge il cuore nel

petto). Telemaco la rimprovera dicendo: “tu non devi farne un caso personale”. La letteratura non parla di casi

“personali”, la letteratura parla di casi “esemplari” (non dice proprio così, ma noi stiamo un po’, per così

dire, “parafrasando”): quella cornice cerimoniale non va spezzata (de te fabula narratur), è vero;

all’interno però di quella cornice, per l’esemplarità dei casi che vengono raffigurati dal cantore, tu puoi

ottenere la catarsi, rivivere la tua passione personale, ma trasferita, oggettivata in un altro racconto; un

racconto che è, appunto, esemplare. Tra gli esempi di questo racconto c’è anche il caso di Ulisse; ma

non è soltanto Ulisse, tanti altri eroi sono periti o hanno avuto difficoltà nel ritorno.

Omero simbolizza, in questo brevissimo racconto, una delle condizioni preliminari di ogni

esperienza estetica.

Noi non possiamo fare come lo spettatore medioevale, che sale sulla scena e picchia l’attore che recita

la parte di Giuda. Dobbiamo saper distinguere tra la rappresentazione e la realtà, e affidare alla

rappresentazione anche le nostre vicende: lasciare che si mantenga questo distacco, per poter appunto

rivivere, attraverso le vicende raccontate, le nostre personali. Ma non in maniera diretta. Non

spezzando questa cornice e lasciando che i nostri vissuti siano appunto simbolizzati e quindi sublimati

attraverso la rappresentazione teatrale (nel caso del mistero medioevale e della parola alata del poeta),

attraverso il canto dell’aèdo.

Omero è da questo punto di vista, il primo teorico della letteratura.

Ci dà un’immagine della letteratura, quantomeno del modo in cui noi dobbiamo concepire la

comunicazione estetica, per la quale non è sbagliato farne un caso personale; ma questo caso personale

deve essere oggettivato, quindi spostato al di là della nostra coscienza, e rivissuto attraverso

l’esperienza dell’altro.

La letteratura è innanzitutto “esperienza dell’altro” e non modo narcisistico di guardarci allo specchio.

In questo senso appunto, la prima teoria della letteratura che noi incontriamo, almeno nella tradizione

occidentale, è proprio questa “mise en abime”, che Omero introduce nel primo canto dell’Odissea.

La critica letteraria si emancipa, vive anche una vita autonoma, già nell’antichità greco-latina.

Il primo critico (in questo caso il termine ha un valore per così dire forte) della letteratura è Platone,

che condanna la letteratura. E’ critico anche in questo senso, che espelle Omero dalla Repubblica.

Il primo grande teorico e critico della letteratura che noi conosciamo -come “esercizio autonomo di una

riflessione sulla letteratura”- é ovviamente Aristotele.

La Poetica è ancora un libro che, ogni volta che lo rileggo, ci trovo delle cose straordinarie; così come

l’esercizio autonomo della riflessione sulla letteratura caratterizza tutte le grandi tappe della storia della

letteratura: è bene ricordarsi questo.

Il “De Vulgari Eloquentia” di Dante è uno straordinario testo di teoria e critica della letteratura.

Certamente un’accelerazione di questa autoriflessione della letteratura su sé stessa è tipica della

modernità e quindi sarà sugli aspetti della critica moderna che cercherò di riflettere.

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E’ tipica della modernità per una ragione molto semplice.

La letteratura moderna a partire dal Settecento deve individuare la propria specificità rispetto alla

letteratura classica e classicistica, la letteratura della tradizione.

La modernità percepisce subito (a partire quantomeno dal Settecento), il distacco dal passato, e lo deve

elaborare. Lo deve elaborare sia nella pratica letteraria sia nella riflessione stessa.

Di qui l’enorme aumento della produzione critica, non soltanto come studio dei testi, analisi,

commento, ma proprio dell’apparato concettuale di riflessione sulla letteratura.

Nasce l’estetica, che è generale, naturalmente. Ma molti dei maggiori studiosi di estetica, alla fine,

finivano per parlare di letteratura.

Una conferenza. 1ultima modifica: 2007-06-22T11:24:44+02:00da giuseppepi2
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